Già il titolo della conferenza, –Mattanza Russa, Sangue sulle notizie- descrive la situazione che si vive in Russia, paese ad alto rischio per i giornalisti. Marcello Greco, giornalista del Tg3, apre il dibattito fornendo alcuni dati a riguardo: dal 2000 al 2009 sono stati uccisi 19 giornalisti, oltre 190 dal 1992. Nel 2010 non ci sono state uccisioni, ma aggressioni sì: a Mosca il 6 novembre è stato barbaramente malmenato e lasciato in fin di vita Oleg Kashin, reporter di Kommersant. È proprio lui ad iniziare la conferenza con la sua testimonianza raccontando dell’accaduto: «ho sempre percepito il pericolo anche se non mi aspettavo più di 50 bastonate». Due uomini lo hanno atteso sotto casa, di notte, e lo hanno colpito più volte mandandolo in coma per due settimane. In fondo nemmeno lui sa spiegarsi le motivazioni, dal momento che la rivista per la quale lavora è di stampo liberale ed i suoi editoriali non hanno mai preso posizioni scomode. «La mia penna è diventata ancora più aggressiva, più aspra», prosegue Kashin ribadendo che non si deve stare in silenzio e non si deve aver paura. È scaramantico sul tema delle indagini: «Non mi pronuncio, ma sono a buon punto. Ben presto si arriverà ai loro nomi». Il dibattito prosegue con la visione di un documentario di Paolo Serbantini, giornalista e sceneggiatore cinematografico, sulla morte di Anna Politkovskaja. Ad intervenire è un’altra giornalista, Oxana Chelysheva, minacciata di morte e costretta a non vivere più nel suo paese per la sua incolumità, ribadendo come la morte della collega sia direttamente connessa al primo ministro ceceno Ramzan Kadyrov. «Si poteva far luce subito sulla sua morte, anche una settimana dopo, ma l’atmosfera politica non lo consente. L’assassino è certamente protetto». Una voce fuori dal coro è rappresentata da Nikita Barachev corrispondente in Italia della rivista Literaturnaya Gazeta: «Non ho mai subito una censura, mai percepito una cosa del genere» dichiara il giornalista, che scrivendo nel nostro paese non sente questo senso di chiusura che invece molti suoi colleghi subiscono.
I giornalisti russi rischiano ogni giorno in nome di un’informazione libera, non filtrata che non abbia nessun legame con la corruzione. Al massimo ricorrono all’auto-censura preferendo il silenzio. Il problema si sta accentuando ancora di più vista la reale minaccia di una nuova forma di fascismo che sta emergendo nel paese. Sembra strano se si considera il passato sovietico nemmeno poi così lontano. Ma forse è ancora più strano che un paese come la Russia, che ha acquistato la libertà appena vent’anni fa, risieda al 175esimo posto nella speciale classifica redatta da Freedom House relativa alla libertà di stampa.
Marco Biscardi