Al Festival internazionale del giornalismo, cronisti nel mirino

Un momento del dibattito (Foto: Agsp)La storia di un gruppo di giovani giornalisti armati di entusiasmo, quella di due giornali regionali che si fanno la concorrenza per la prima volta dopo anni di monopolio editoriale, quella di un giovane magistrato calabrese che lavora sul fronte contro le ‘ndrine si sono incontrati a Perugia, al tavolo del dibattito “Cronache dalla Calabria: volti e storie dei giornalisti minacciati dalla ‘ndrangheta”, incontro organizzato nell’ambito della prima giornata del Festival internazionale del giornalismo su iniziativa dell’Associazione ex studenti della scuola di giornalismo di Perugia. Così in una manciata di minuti la sala G. Alessi si riempie di giovani che affollano i numerosi incontri del primo pomeriggio della kermesse sull’informazione ideata da Arianna Ciccone e Cristopher Photter per conoscere una storia che ha numeri da record (negativi): quella della Calabria e dell’informazione nel mirino dei boss. A parlarne coordinati dal giornalista freelance (dell’Asgp) Andrea Gerli, il giornalista Lucio Musolino, uno dei colleghi minacciati in questi anni in Calabria (oggi collaboratore di La 7 e Il Fatto quotidiano) lo storico cronista rai per la sede Calabria, Riccardo Giacoia, il collega Roberto Rossi, scrittore e autore del libro e videoreportage “Avamposto. Nella Calabria dei giornalisti minacciati” e con la partecipazione del magistrato della Dda di Catanzaro, Pierpaolo Bruni.

Siamo in Calabria. Da sempre terreno di un monopolio editoriale rappresentato dalla Gazzetta del Sud (quotidiano edito a Messina ma l’unico per anni a raccontare la Calabria) questa regione conosce solo da una decina di anni l’arrivo di quotidiani a tiratura regionale. Sono due nuove realtà in particolare, Il quotidiano della Calabria e Calabria Ora, a consentire l’arrivo di nuove leve del giornalismo che subito cominciano a raccontare cronaca giudiziaria, antimafia e nera con nuovo dinamismo e spirito di concorrenza. La ‘ndrangheta e i suoi fiancheggiatori non apprezzano tanto rumore, gli affari dei boss per poter crescere hanno bisogno di silenzio. Silenzio violato dall’intraprendenza del mutato panorama giornalistico in Calabria.

«La mia è la storia di otto giovani giornalisti e di un direttore; scriviamo di ‘ndrangheta, veniamo minacciati e poi quando il direttore lascia, in otto con lui vanno via. Io – all’epoca racconta Lucio Musolino, giornalista di “Calabria Ora” collaboratore del “Fatto” e di “La 7”fui l’unico a rimanere. Lo feci pensando di poter continuare a far il mio mestiere come so fare, come gli editori mi avevano assicurato, e invece, non fu così». Musolino, sotto la nuova direzione di Piero Sansonetti, continua a raccontare di ‘ndrangheta ma anche della politica che siede al tavolo dei boss. In particolare, Musolino, racconta alcuni aspetti dell’inchiesta Meta che tanto fanno scalpore e che coinvolgono la classe politica calabrese, sino al suo presidente regionale, Giuseppe Scopelliti. Musolino subisce intimidazioni chiare, e dopo una partecipazione ad Annozero nella quale insieme ad altri giornalisti minacciati racconta la situazione difficile in cui si lavora in Calabria, dopo alcuni tentativi di trasferimento da Reggio Calabria, riceve la notizia del suo licenziamento via fax. E’ il cortocircuito del caso Calabria. Da poco un giudice del lavoro ha disposto il reintegro di Musolino a “Calabria Ora” ma – dichiara il giornalista- bisognerà verificare se ci sono oggi le condizioni per un mio rientro alla testata.

Questa è una delle tante storie di giornalisti che raccontano dal fronte calabrese questa battaglia in cui la tensione è sempre più alta, fra lo Stato e la società civile e la ‘ndrangheta. Con Musolino, Riccardo Giacoia, storico cronista del TGR Calabria, racconta questa Calabria in cui per anni è stato difficile far “passare” le informazioni, non solo al Tg ma anche alle testate gemelle del nazionale. Giacoia, firma da poco in forza al Tg1, dice e non dice. Sa – come conferma nel suo intervento – che per quanto difficile (anche lui è stato oggetto di minacce) avere dietro una azienda come la Rai è stato per lui un sostegno ulteriore che i giovani giornalisti minacciati negli ultimi anni dalle ‘ndrine, non hanno. «E’ a loro – conferma Giacoia – che dobbiamo guardare oggi, loro non devono essere lasciati soli, nemmeno dai colleghi Rai che hanno, proprio per la natura del servizio pubblico, la responsabilità di stare in prima linea». Solo qualche giorno dopo questo intervento al Festival del giornalismo, Giacoia subisce altre lettere intimidatorie. La sua attività continua a dar fastidio. La tensione è alta in Calabria: da poco sono stati arrestati i responsabili della bomba alla procura di Reggio Calabria e fra poche settimane si attende la sentenza sui responsabili della strage di Duisburg.

In questo clima infuocato e scivoloso lavora ogni giorno come magistrato, il pm Pierpaolo Bruni, in forza alla Dda di Catanzaro. Giovane magistrato che si è occupato di inchieste scottanti dalla “Why not” a numerose altre indagini che hanno portato in manette “famiglie” ‘ndranghetiste. E’ lui a tessere l’elogio più diretto al lavoro dei cronisti calabresi:« Sono loro – dice Bruni – ad aver trovato il modo di illuminare quotidianamente questo cono d’ombra che teneva la Calabria e le vicende calabresi in secondo piano per l’opinione pubblica regionale e nazionale». Il pm racconta di un isolamento di una mancanza di attenzione della stampa nazionale verso quello che sta accadendo in Calabria, che nonostante l’impegno di molti giornalisti, ancora vige e in qualche modo espone tutti a rischi maggiori. E’ il pm a lanciare poi una proposta che mira ad incidere la dove i contatti della ‘ndrangheta trovano terreno fertile nel tessuto socio – economico: «Bisognerebbe – continua Bruni – rendere più esplicito il codice penale nell’articolo 416 ter che parla del voto di scambio, aggiungendo “qualsiasi utilità” fra le voci che rendono punibile questo reato sempre più anello di congiunzione fra boss e politica».

Un panorama quello emerso durante il dibattito di Perugia emerso finalmente dopo anni di silenzio grazie al lavoro di “Ossigeno”, l’Osservatorio della Fnsi e Odg, e all’inchiesta correlata di Roberto Rossi e Roberta Mani, due giornalisti che hanno approfondito e portato all’attenzione dei mass media nazionali e internazionali “il caso Calabria”. L’hanno chiamato “Avamposto” ed è diventato un libro e un reportage. E’ Roberto Rossi, giornalista e scrittore, a spiegare il contesto in cui maturano questi numeri da record: 20 giornalisti minacciati dall’inizio dell’anno. 200 in due anni in tutta Italia. 35 nell’ultimo biennio.«In Calabria – sino a una decina d’anni fa – racconta Rossi – vigeva un monopolio dell’informazione, poi l’arrivo delle due testate regionali ha acceso il clima, ha portato ad una maggiore informazione, ad una copertura migliore, all’arrivo di giovani giornalisti che volevano raccontare quello che accadeva in Calabria ai propri concittadini». Il “Quotidiano della Calabria” e “Calabria Ora”, dunque, sono i motori di questo cambiamento. Le loro redazioni, fra mille difficoltà, anche interne, provano a sfondare il muro del silenzio. Poi c’è il grande lavoro fatto dal web, dal citizen journalism, dai volontari dell’informazione. Tutti intenzionati a riportare ai primi posti dell’agenda della politica il “caso Calabria” e lanciare l’allarme sulla potenza della ‘ndrangheta e i suoi fiancheggiatori.

(Norma Ferrara)
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