Non è una scuola per rom. Limiti ed errori della scolarizzazione dei bambini rom in Italia. Se ne è discusso in un convegno a Roma per giornalisti

Sulla fiancata c’è scritto ‘pullmino rom’. Va a prendere i bambini nei vari campi della città e li porta a scuola. Solo che per fare tutto il giro ci vuole tempo, quindi gli ultimi accompagnati arrivano sempre in ritardo. Lo stesso succede all’uscita. A raccontarlo è Dijana Pavlovic, attrice e vicepresidente della ‘Federazione Rom & Sinti insieme’ alla conferenza ‘NewsRom – Informare senza pregiudizi”, organizzata a Roma dall’Associazione giornalisti Scuola di Perugia per favorire il confronto e la riflessione degli operatori dell’informazione su come i media raccontano la comunità rom.

Pavlovic, 35enne di origine rom nata a Vrnjacka Banja, in Serbia, è anche mediatrice culturale in una scuola elementare di Milano. “I bambini più irrequieti o che non riescono a seguire la lezione sono mandati insieme con i mediatori culturali in un’aula a parte, chiamata ‘aula rom’”, ha raccontato l’attrice. Gli insegnanti e i dirigenti scolastici non si occupano di loro, perché sanno che pochi proseguiranno gli studi. “Molto spesso i bambini rom non vanno alle medie e pochissimi arrivano alle superiori”, ha detto ancora Pavlovic.

Quello rom è un popolo di bambini. Secondo le stime di Opera Nomadi, un’associazione per la tutela dei diritti di rom e sinti, queste comunità sono caratterizzate da un’alta percentuale di minori. Il 60 per cento della popolazione rom e sinti ha infatti meno di 18 anni e di questi il 30 per cento ha un’età compresa tra zero e 5 anni, il 47 per cento tra i 6 e i 14 anni e il 23 per cento tra i 15 e i 18 anni. La speranza di vita dei rom, anche a causa delle precarie condizioni di vita, è inferiore rispetto al resto della popolazione. Nei Paesi dell’Unione europea il 51 per cento della popolazione raggiunge i 75 anni, ma la media scende a 25,7 per cento tra le comunità rom. La forbice è ancora più ampia se si considera l’obiettivo degli 85 anni, raggiunto dall’11,2 per cento della popolazione degli Stati membri, ma soltanto dal 4,5 per cento degli appartenenti alle comunità rom.

Dei 150-170mila rom che vivono in Italia, appena il 2,8 per cento ha superato i 60 anni. Per questo la scolarizzazione ha assunto un ruolo centrale per favorire l’integrazione delle comunità rom nella società. “Gli interventi sui bambini sono fondamentali”, ha detto Paolo Ciani, responsabile per rom e sinti della comunità di Sant’Egidio, “i bambini rom ci impietosiscono, mentre i loro genitori li consideriamo abusivi. Ma il povero bambino e il genitore abusivo in realtà sono la stessa persona. Quello che si fa oggi per il bambino influenzerà la società del futuro”. Nel passato c’è stato un atteggiamento nei confronti della scolarizzazione dei rom che Ciani ha definito “schizofrenico”. Intere generazioni di bambini rom sono state escluse dal sistema scolastico e poi si sono imposte iniziative di scolarizzazione che però sono state strutturate male, non hanno creato uno spazio di integrazione all’interno delle strutture e hanno deresponsabilizzato completamente le famiglie rom.

Come ha spiegato il professor Brazzoduro, docente di Politiche sociali all’università la Sapienza, gli scarsi risultati della scolarizzazione rom sono dovuti al fatto che non sono stati affrontati alcuni problemi ed elementi fondamentali. In primo luogo la precarietà della vita e i problemi economici che affliggono la quotidianità dei bambini delle comunità rom e poi il fatto che i rom vengono da una cultura orale e hanno per questo strumenti cognitivi diversi. “Siamo un popolo con valori antichi e sempre meno presenti nella società, come l’attaccamento alla famiglia, il rispetto per gli anziani, il rifiuto per la guerra”, ha raccontato Dijana Pavlovic, “ma la vita nei campi sta inquinando la nostra cultura con gli elementi più negativi della società in cui viviamo, ma da cui siamo esclusi”.

Da qui nasce la sua provocazione: ha senso spingere i bambini rom ad andare a scuola, inserirli in un ambiente diverso da quello in cui sono cresciuti, ma in cui non saranno mai completamente integrati? “Per insegnargli a leggere e a scrivere gli roviniamo la vita”, ha detto Pavlovic. Per favorire una vera inclusione delle comunità rom serve la collaborazione con le istituzioni, bisogna creare un’elite e un’intellighenzia rom. “Come possiamo produrle?”, si domanda Pavlovic, “di certo non mandando i bambini in una scuola che è in grado di creare solo bambini e adulti arrabbiati”.

Francesca Gnetti

http://www.ntnn.info/it/articles/non-e-una-scuola-per-rom.htm