Quanto è corretto mostrare delle immagini che, per quanto dure, raccontano efficacemente la realtà? Quando è opportuno fermarsi e lasciare una certa distanza tra informazione e realtà? Ne hanno discusso nell’incontro organizzato dall’Associazione Giornalisti Scuola di Perugia al Festival internazionale di giornalismo di Perugia Pier Paolo Cito (fotografo dell’Associated Press), Antonio Polito (direttore de Il Riformista), Lorenzo Del Boca (presidente dell’Ordine dei Giornalisti), Silvio Giulietti e Gianfranco Botta (TG3) e Roberto Chinzari (TG2).
Fotografia e oggettività. “Non esiste un modo oggettivo di raccontare la realtà. Un fotoreporter, così come un giornalista, fa delle scelte, punta il suo obiettivo su alcuni aspetti della situazione che vuole descrivere, restituisce al lettore un mondo particolare e personale, recepito in maniera altrettanto personale”. Le difficoltà che incontra un cronista nel riportare oggettivamente una notizia, concentrate nel clic di una macchina fotografica. Pier Paolo Cito fa il reporter di guerra per la Associated Press. Il suo lavoro spesso gli impone scelte di questo tipo. Mostra al pubblico le immagini di un attacco kamikaze in Israele: molte sono state cestinate per il contenuto troppo cruento e irrilevante ai fini della notizia. All’agenzia ne ha mandata solo una. Si vede la testa del kamikaze che fa capolino dietro alle spalle di un medico israeliano. Il corpo dilaniato dell’attentatore è totalmente nascosto. Quanto basta per evocare un significato, quell’informazione che la foto vuole trasmettere. “A questo – continua Cito – deve mirare il fotografo. Anche noi abbiamo un nostro codice deontologico, delle norme a cui attenerci nella nostra professione. Ma inevitabilmente restituiamo una prospettiva soggettiva sulla realtà che andiamo a raccontare, è impossibile chiederci una rappresentazione oggettiva dei fatti”.
Fotografia e informazione. Antonio Polito, direttore de Il Riformista, con la pubblicazione sul suo giornale delle foto dei militari italiani morti nell’attentato di Kabul lo scorso 18 settembre, innescò una vera e propria polemica sulla necessità di pubblicare foto molto crude. Per lui una foto scattata dalla prospettiva giusta e capace di rendere bene l’idea della realtà oggettiva vale più di un intero articolo. “Alcune foto – dice – hanno fatto la storia. Penso alle foto della battaglia di Iwo Jima, dei quattro militari che piantano la bandiera americana, o alla foto della bandiera dell’URSS sul Reichstag. Altre foto possono essere costruite, in base all’effetto che si vuole raggiungere. Questo può essere un pericolo, ma dobbiamo pensare che ogni foto ha due lati. La foto non è mai neutrale, ma da quando fa parte del mondo dell’informazione ha contribuito in maniera straordinaria alla crescita civile della società. Ad esempio le foto del terremoto di Haiti hanno convinto gli americani ad andare in aiuto della popolazione”.
Forse è un’illusione quella di poter raccontare oggettivamente la realtà con la fotografia. Ma anche le immagini offrono una forma di mediazione che, con gli stessi pregi e difetti di un articolo scritto, è una modalità fondamentale di diffusione della notizia.
Andrea Gerli