Dopo l’incontro di Roma, discusso nella sede della Fnsi lo scorso 23 marzo e rivolto ad un pubblico di giornalisti ed operatori della comunicazione, l’Associazione giornalisti Scuola di Perugia dedica anche questo appuntamento del Festival del Giornalismo alla storia e alla cultura Rom (dibattito che continuerà a Milano e a Napoli negli incontri del 12 maggio e del 16 giugno). Tema, quello dell’integrazione dei Rom nei paesi “ospitanti”, al centro di un controverso dibattito politico negli stati europei, a cui le istituzioni comunitarie prestano sempre maggiore attenzione.
Gabriella Capparelli, giornalista del tg1, Santino Spinelli, studioso di lingua e cultura Rom dell’Università di Chieti, Luca Bravi, dell’ Università di Firenze e Gian Paolo Accardo di Press europ, ripercorrono le fasi più delicate della storia dei Rom, le cinque etnie che la compongono, l’origine comune nell’India del Nord fino alla prima deportazione dell’anno mille. Fino ad arrivare all’emarginazione il degrado di oggi, realtà dei campi cresciuti nelle periferie di alcune città italiane “Quella che i rom sia una popolazione nomade è un pregiudizio che si è consolidato nei secoli” sottolinea Santino Spinelli ma” il 70 per cento dei 170.000 rom che vivono in Italia sono italiani di antico insediamento”.
Se nel settembre del 2010 la politica dei “rimpatri forzati” praticata dal governo francese ha sollevato le proteste della Commissione europea ed è stata seguita da un lungo braccio di ferro diplomatico tra Parigi, Bucarest e Bruxelles, solo pochi mesi prima il governo tedesco aveva firmato con il Kosovo un accordo sul rimpatrio di 14.000 rifugiati che nel 1999 erano stati costretti a lasciare la loro terra durante il conflitto armato con la Serbia. E in generale stati dell’Unione vengono criticati per non spendere in modo adeguato i fondi messi a disposizione per l’integrazione e le politiche abitative.
Ma in che modo questi temi vengono trattati dai media? E in che modo sarebbe giusto parlare delle storie e dei fatti di cronaca posti all’attenzione della pubblica opinione? “Sarebbe opportuno trattare le storie nella loro specificità” sottolinea Luca Bravi per “ non confondere le responsabilità dei singoli con quelle dei gruppi ai quali appartengono”. In generale “Non è opportuno sottolineare la nazionalità o l’appartenenza ad un gruppo etnico di chi commette un delitto” gli fa eco Gian Paolo Accardo. E se si considera che reati, anche lievi, maturati in questi contesti ricevono un’attenzione del tutto spropositata da parte di stampa e televisione, “ si capisce perché -sottolinea Gabriella Capparelli- proprio dal mondo dei media deve arrivare la risposta per una corretta conoscenza dei problemi e delle loro soluzioni”.
Serena Mautone