Dagli affollati comizi di piazza, nel periodo delle grandi ideologie e dei partiti strutturati, all’avvento della televisione; dai manifesti elettorali ai blog e ai social network dei giorni nostri, che hanno imposto un nuovo linguaggio fatto d’immediatezza e frammentazione.
Di questi temi si è discusso a “Medioera“, il festival della cultura digitale di Viterbo in un incontro organizzato dall’Associazione Giornalisti Scuola di Perugia, per la prima volta partner della manifestazione. Presenti Gianpietro Mazzoleni, docente di comunicazione politica all’università degli studi di Milano; Massimiliano Panarari, commentatore de La Stampa; Sergio Ragone, giornalista e blogger e Giampaolo Rossi, editorialista del Il Giornale. Il dibattito è stato moderato da Francesco Cutro (Tgr Rai).
Il primato della TV – Per Giampietro Mazzoleni, nonostante siano nati blog e social network «i politici di oggi non possono fare a meno della televisione. Se ai tempi di Aldo Moro o Mario Scelba ci si poteva permettere di non saper comunicare in Tv – prosegue – oggi i politici devono necessariamente saperlo fare. La televisione continua a essere la fonte privilegiata per comunicare con il cittadino-elettore, dal momento che arriva in più case».
Con l’avvento del tubo catodico a partire dagli anni ’60 si è affermato un lento processo di mediatizzazione: l’azione politica pubblica avviene all’interno dello spazio mediale – o comunque dipende in gran parte dall’azione dei media – e si focalizza su figure più o meno carismatiche. Da qui, l’importanza del ruolo dei leader. «La politica pian piano si fa sempre più personalizzante – sottolinea Massimiliano Panarari –. Oggi i leader non possono fare a meno di uno staff, professionalità che contribuiscono a vario titolo a catturare l’attenzione dell’elettore e che purtroppo – continua Panarari – non hanno il dovuto spazio nella Tv generalista. Spazio che potrebbe far proprio la comunicazione digitale».
L’avvento dei social – Ma quanto conta oggi la presenza di un politico sui social network? «Oggi i politici e i partiti – sostiene Giampaolo Rossi – non hanno imparato a interfacciarsi con la rete. Prevale un carattere disaggregante. Un esempio su tutti il Vaffaday di Beppe Grillo ben lontano da quel sogno aggregante di Martin Luter King nel suo discorso “I have a dream”». Per Sergio Ragone, invece «la rete può sì essere elemento di rottura, in nome di una lotta, ma deve essere comunque intesa in una logica aggregante». A confermarlo è il progetto che lo stesso Ragone ha portato avanti per le elezioni regionali dello scorso novembre in Basilicata: «”PaffBum” è il nome della piattaforma che abbiamo creato per analizzare le interazioni tra candidati ed elettori. La Basilicata andava al voto dopo l’inchiesta “Rimborsopoli”. Attraverso il web siamo riusciti a capire che l’astensionismo sarebbe stato il primo partito. Cosa che poi è accaduta».
La prova delle europee 2014 – Per come si sta configurando questa campagna elettorale – sostiene Mazzoleni – i social appaiono uno strumento utile sia per le elezioni europee sia per le amministrative, ma è la Tv a mantenere il suo ruolo predominante, nonostante siamo in un’epoca post televisiva. Rossi, invece, rimarca come Grillo stia portando avanti un uso ottimale della rete, confermando quel suo passo avanti rispetto agli altri partiti.
Dal punto di vista dei temi affrontati, Panarari afferma che le elezioni europee devono essere intese in una chiave post ideologica. «Si assiste ad una segmentazione più profonda dell’elettorato e ad una profonda metamorfosi». Nella rete, conferma Ragone, «i temi che maggiormente trattati e retweettati sono legati all’asse “euro si”, “euro no”».