Il talento di Mario Francese, giornalista antimafia, 32 anni dopo la morte

Mario era il cronista di punta del giornale più diffuso della città, il Giornale di Sicilia. E’ la sera del 26 gennaio del 1979, di ritorno da lavoro parcheggia la sua auto e si avvia verso il portone di casa. Proprio lì cade, vittima dei colpi dei killer del gruppo mafioso “riconducibile ai corleonesi”, come attestano le sentenze del processo. Movente, come per molti altri giornalisti uccisi, lo «straordinario impegno civile con cui la vittima aveva compiuto un’approfondita ricostruzione delle più complesse e rilevanti vicende di mafia degli anni ’70», così come recitano le righe della sentenza di primo grado. Mandanti: Totò Riina, Leoluca Bagarella (esecutore materiale del delitto), Raffaele Ganci, Francesco Madonia, Michele Greco e Bernardo Provenzano. Erano i corleonesi, i maggiorenti della mafia più sanguinaria e violenta che la nostra storia ricordi. I boss di Cosa nostra che avevano decretato, nel corso della guerra con la mafia palermitana, l’uccisione di un giornalista. Perché le sue inchieste sugli affari mafiosi, in particolare quelli collegati alla costruzione della diga di Garcia, e sulle fitte relazioni tra gli ambienti criminali e il mondo dell’economia e degli appalti pubblici nella Sicilia occidentale davano molto fastidio.

Le inchieste di Francese anticiparono i disegni criminali dei “corleonesi”, la loro scalata a Cosa nostra palermitana, la leadership incontrastata di Riina e Provenzano all’interno della “famiglia”. Raccontarono quella sanguinosa faida e l’attacco alle istituzioni, il contesto che spianò la strada alla strategia stragista degli anni ’90, allo scontro diretto con lo Stato e ai delitti eccellenti. Mario Francese seguì la strage di Ciaculli, il processo ai corleonesi del 1969 a Bari, l’omicidio del colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo. Non solo cronache giudiziarie, attente e scomode, ma anche alcuni inediti, preziosi frutti del suo straordinario talento. Francese fu l’unico giornalista a intervistare la moglie di Totò Riina, Antonietta Bagarella, e a raccontare le dinamiche interne a Cosa nostra. Francese, trentadue anni dopo, è un simbolo per le nuove generazioni di giornalisti.

Dopo il suo omicidio uno dei figli, Giuseppe, dedicò la sua vita alla ricostruzione dell’attività giornalistica del padre, seguendo i processi in tutti gradi di giudizio. Di lui hanno scritto: «Giuseppe, funzionario integerrimo, lavoratore solerte, creativo e al contempo scrittore brillante e versatile aveva il giornalismo nel sangue e lo dimostrò pubblicando negli anni una serie di articoli che non si occuparono soltanto della vicenda del padre ma che affrontarono altri casi relativi a delitti di mafia. Ma non c’è dubbio che Giuseppe dedicò tutte le sue energie e gran parte del suo tempo a ripercorrere la pista che lo avrebbe portato diritto agli assassini del padre» (Fondazione Francese).

Finché, quando tutto fu finito, quando i nomi dei colpevoli figuravano nero su bianco nelle sentenze, Giuseppe a trentasei anni si suicidò nella sua casa di Palermo. Lirio Abbate nella giornata della Memoria 2010 in ricordo dei giornalisti uccisi dalle mafie e terrorismo, lo scorso 3 maggio ha affermato: «Sono nove, non otto, i giornalisti uccisi dalla mafia in Sicilia». La mafia ha ucciso anche Giuseppe. Cosa nostra ha soffocato anche così i talenti migliori.

[Per saperne di più su Mario e Giuseppe Francese – www.fondazionefrancese.org]

Andrea Gerli