Una renault 5 ferma,in via dello Stadio a Catania, a pochi passi dal Teatro Verga. Il vetro di un finestrino in frantumi. Giusepe Fava stava per scendere dall’automobile quando venne ucciso con cinque colpi di pistola. Era il 5 gennaio 1984
Nel labirinto La mafia, gli affari e la politica. Il filo rosso che collega il denaro che, guadagnato illegalmente, si trasforma passando attraverso conti bancari e imprese dal business del tutto lecito. La violenza della mafia che nessuno vuole riconoscere. Giuseppe Fava voleva raccontare tutto questo, soprattutto alla sua Catania, dove c’era un solo giornale locale e La Repubblica veniva distribuita senza l’inserto siciliano. La città in cui si muoveva Fava era un labirinto di cui nessuno voleva scoprire la mappa. Lui cominciò a disegnarla. Raccontava come la violenza che scuoteva le strade catanesi non fosse semplice criminalità, ma mafia. Anche quando molti dicevano che nella Sicilia orientale non aveva mai attecchito. Lo fece da capocronista dell’Espresso Sera e quando si pensava che ne sarebbe diventato direttore, l’editore, Mario Ciancio Sanfilippo, gli preferì un altro. Fava andò allora a Roma a scrivere per il Tempo, il Corriere della Sera e a condurre una trasmissione radiofonica per la Rai, ma la passione per Catania lo fece tornare. Doveva fare il direttore del Giornale del Sud.
A caccia dei soldi dei clan “Noi speriamo di fare uno dei giornali più moderni tra quelli che oggi si pubblicano in Italia. Per noi la cultura sarà la verità in qualsiasi settore dell’attività sociale e civile della Sicilia” Era il 21 luglio 1982 e Fava, alle telecamere del telegiornale regionale della Sicilia, spiegava così la linea del quotidiano di cui era direttore dal 1980: il Giornale del Sud. Gli editori erano gli imprenditori Salvatore Lo Turco, Gaetano Graci, Giuseppe Aleppo e Salvatore Costa. Lo Turco e Graci erano vicini al clan dei Santapaola, ma Fava ancora non lo sapeva e tornò a scavare la realtà e spiegare proprio la guerra tra i clan Santapaola e Ferlito, gli appalti, il flusso di denaro che legava le cosche all’imprenditoria e alla politica. Nomi e cognomi delle più importanti famiglie mafiose finirono sulle pagine del quotidiano, mentre la catena di omicidi che tormentava la Sicilia fin dal 1979 non si spezzava: il giornalista Mario Francese, il segretario provinciale della Dc Michele Reina, il capo della Mobile Boris Giuliano, il presidente di Regione Piersanti Mattarella, il segretario regionale del Pc Pio La Torre e infine il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Gli scontri con la proprietà, che non approvava le scelte di Fava, si fecero sempre più accesi e infine arrivò il licenziamento, ma per Giuseppe Fava era l’inizio della sua più grande avventura.
I Siciliani La sua piccola cooperativa Radar diventò il motore economico del nuovo giornale: I Siciliani. Nessun proprietario e una redazione giovane, età media 23 anni, per fare inchieste sulla crisi del sogno industriale siciliano, sui missili nella base americana di Comiso, sulla difficile amministrazione della giustizia, per continuare a svelare gli intrecci di Cosa Nostra catanese e il suo cuore economico. Tutto questo ogni mese dal 1 gennaio 1983. Il suo articolo “I quattro cavalieri della Apocalisse mafiosa”, sul primo numero, metteva sotto la lente proprio i quattro principali imprenditori catanesi e la loro contiguità ai clan. Fava avrebbe curato 11 numeri attirandosi antipatie, l’attenzione pericolosa dei boss e l’isolamento tra gli intellettuali. Il giorno stesso dell’omicidio, a mezzanotte, i suoi redattori erano già in riunione e decisero di continuare a lavorare. Non era una decisione scontata.
I responsabili Per fare un po’ di chiarezza sull’omicidio Fava ci sono voluti 14 anni e il processo Orsa Maggiore3. Le condanne definitive sono state per Nitto Santapaola e Aldo Ercolano come mandanti e a Maurizio Avola, che ammise di essere uno dei killer. Anni di indagini in cui all’inizio si cercò nella vita privata e nello stato economico di Fava un improbabile movente. Intanto, negli anni, molti hanno accolto l’invito che Fava aveva lanciato agli studenti dell’Università di Catania: “E allora, se tutto quello che è accaduto negli ultimi 100 anni non è accaduto inutilmente, se la cultura ha un valore, se il senso della libertà corrisponde veramente al senso della dignità dell’uomo allora, per Dio, voi dovete lottare”.
Valeria Radiconcini