Alberto Spampinato è il direttore di Ossigeno per l’informazione. L’osservatorio, istituito 2 anni fa dalla FNSI e dall’Ordine dei Giornalisti con la partecipazione di Articolo 21 e Liberainformazione, ha l’obiettivo di analizzare e documentare il fenomeno, delle minacce e delle intimidazioni nei confronti dei giornalisti in Italia. Ossigeno per l’informazione ha presentato oggi il suo rapporto annuale nella sede del Mattino a Napoli, in occasione del 25mo anniversario della morte di Giancarlo Siani.
Alberto Spampinato, oggi ricordiamo la figura di Giancarlo, ucciso dalla camorra il 23 settembre del 1985, solamente per aver fatto con onestà il suo lavoro. Cosa ricorderesti di lui?
Giancarlo Siani era un brillante giornalista di 26 anni. Per i camorristi, suoi assassini, meritava la morte per aver pubblicato notizie a loro sgradite. Aveva rivelato un recente patto segreto stipulato fra i camorristi del clan Nuvoletta e i mafiosi di Corleone. Solo Giancarlo aveva scritto quelle notizia. Solo lui aveva avuto l’ardire di mettere in piazza i segreti dei boss, danneggiandoli. Al giornale era stato lodato per quello scoop. Era stato “promosso”, con uno spostamento dalla redazione distaccata di Torre Annunziata alla redazione centrale. Alcuni gli avevano consigliato di lasciar perdere quelle storie che facevano inferocire i camorristi. “Chi te lo fa fare?”, gli dicevano. Giancarlo non li aveva ascoltati. Non riuscì a girare la testa dall’altra parte neppure quando ormai il pericolo era nell’aria ed egli provava paura. In questo, Giancarlo si comportò esattamente come gli altri dieci giornalisti uccisi in Italia: ognuno di loro fu ammazzato perché, nonostante la paura, era risoluto ad andare avanti, e non c’era altro modo di fermarlo. Ho riflettuto molto su queste dinamiche, perché uno di quei testardi era mio fratello Giovanni. Gli altri si chiamavano Cosimo Cristina, Mauro De Mauro, Mario Francese, Pippo Fava, Peppino Impastato, Beppe Alfano, Mauro Rostagno, Carlo Casalegno, Walter Tobagi. Mi piace ricordare i loro nomi insieme a quello di Giancarlo e di Giovanni.
Quale valore ha, per il giornalismo, scolpire nella propria memoria questi nomi?
C’è chi, per paura o per opportunismo, invece di mettersi al fianco di un onesto giornalista minacciato, invece di circondarlo di solidarietà, lo irride con una domanda cinica molto ricorrente: “Ma chi te lo fa fare?”. Purtroppo anche molti giornalisti dicono questa frase. Alcuni lo fanno per leggerezza, e bisogna solo aiutarli a capire come stanno le cose. Altri invece “Chi te lo fa fare?” lo dicono con furbizia e malizia, con la fierezza di chi conosce il mondo e crede di aver trovato nell’autocensura il modo migliore di prevenire le minacce. L’autocensura, in realtà, è l’antitesi del giornalismo, ma è vantata apertamente da costoro come un “trucco” del mestiere. Ma di quale mestiere? Nascondere le informazioni, fare la raccolta differenziata delle notizie, farsi guidare dalla paura: il giornalismo non è questo. Dobbiamo onorare la memoria di Giancarlo e di tutti i valorosi giornalisti uccisi in Italia riaffermando questa verità, denunciando l’irrisione dei pavidi e il fatalismo di chi, di fronte al triste stato di fatto di gran parte del giornalismo italiano, pensa che l’unica cosa da fare sia omologarsi al livello più basso, mettendo da parte impegno civile, concezioni ideali, etica e deontologia. In definitiva il proprio onore.
Veniamo proprio ai drammi di oggi: avete presentato il nuovo rapporto di Ossigeno per l’informazione, che riporta un dato allarmante sulla libertà di stampa. Cosa sta succedendo?
Il fenomeno delle intimidazioni, delle minacce ai giornalisti è preoccupante e poco conosciuto, ma molto esteso anche nel nostro paese. Si tratta di una censura violenta, realizzata con minacce, intimidazioni, danneggiamenti, intrusioni, le lettere e le telefonate minatorie, ma anche aggressioni fisiche, intrusioni e i danneggiamenti. Non ultimi altri metodi, più subdoli ma altrettanto efficaci: interventi sulla proprietà dei giornali, avvertimenti trasversali e allusivi che possono giungere per vie inaspettate, richieste pretestuose di smentite. Cose che sfuggono a qualsiasi rilevazione. Poi ci sono, sempre più praticate le citazioni presso il Tribunale civile per ottenere risarcimenti in denaro spropositati, senza alcuna commisurazione al danno subito e alle capacità economica del giornale e del giornalista citato, e senza che sia stata presentata una denuncia per diffamazione e che sia stato accertato il dolo in sede penale. Ne abbiamo censite 14. Le più clamorose sono state promosse dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi contro la Repubblica, che insisteva a porgli dieci domande sul caso Noemi, e contro l’Unità, per la stessa vicenda. La richiesta era di un milione di euro. Un’altra è stata promossa contro il giornalista Rino Giacalone dal sindaco di Trapani, che ha chiesto 50 mila euro per un articolo molto critico sul suo operato. I cronisti giudiziari poi sono esposti a un altro genere di pesanti intimidazioni: a volte trovano sulla loro strada magistrati permalosi e risentiti per una fuga di notizia, che invece di prendersela con le fonti se la prendono con i giornalisti, mettendoli sotto inchiesta, sottoponendoli a pressioni affinché rivelino le loro fonti confidenziali, colpendoli con perquisizioni e con il sequestro dei loro strumenti di lavoro e dei loro archivi. La legislazione italiana consente questi ed altri abusi dell’azione giudiziaria, che per fortuna sfociano quasi sempre in sentenze assolutorie.
Parliamo di cifre, il rapporto mette in luce il fatto che questo fenomeno è in crescita. Quali caratteristiche ha e cosa significa?
Il nuovo Rapporto smentisce il luogo comune secondo il quale, per i giornalisti, il nostro sia un paese tranquillo. Nel 2009 e nel 2010 in Italia centinaia di giornalisti hanno subito gravi minacce, intimidazioni, danneggiamenti, pressioni indebite ed altre violenze esercitate per limitare il loro diritto di raccogliere notizie nell’interesse dell’opinione pubblica e di pubblicarle. Gli episodi da noi accertati, nel periodo gennaio 2009-marzo 2010, sono 53. Di essi, 29 riguardano minacce individuali (nei confronti di un singolo giornalista) e 24 sono minacce collettive. Alcune di queste ultime sono rivolte a intere redazioni, e ciò ci fa stimare in circa 400 i giornalisti coinvolti. Non sono pochi. Ma in realtà i minacciati sono ancora di più. Noi stessi non abbiamo inserito tutti i casi che ci sono stati segnalati, ma solo quelli che siamo stati in grado di verificare. Inoltre i casi denunciati sono la minima parte, come ha rilevato anche il Rapporto biennale dell’Unesco sui giornalisti uccisi o minacciati nel mondo. Sono raddoppiati rispetto al nostro precedente rapporto, forse anche perché oggi c’è più coraggio, spazio per le denunce.
Dove avvengono questi episodi? Dai dati sembra esserci un particolare legame con le zone ad alta densità mafiosa.
Non è proprio così. E’ vero che con 23 episodi, di cui 15 nel corrente anno, la Calabria guida la classifica italiana con una situazione estremamente allarmante, a cui tutti dovremmo prestare più attenzione e riservare più solidarietà e più capacità di iniziativa. E’ vero che la Sicilia e la Campania occupano in graduatoria posti di tutto rispetto. Ma la nostra casistica dice che le minacce ai giornalisti sono diffuse un po’ in tutte le regioni, dal Veneto alla Lombardia, al Lazio. Questi sono i dati: Calabria 15, Sicilia 6, Campania 6, Lazio 10, Lombardia 6, Puglia 3, Basilicata 2, Piemonte 2, Emilia Romagna 1.
Un anno fa, nel precedente Rapporto, Ossigeno ha segnalato 61 episodi in un periodo di tre anni (2006-2008). Una media di 20 l’anno. I 43 episodi di quest’ultimo Rapporto segnano dunque un aumento del 100 % delle minacce denunciate dai giornalisti. Ancora più alto risulta l’aumento delle minacce collettive, cioè indirizzate a gruppi di giornalisti o a intere redazioni: nel 2009 avevamo contato 9 episodi e stimato almeno duecento giornalisti coinvolti, adesso gli episodi risultano 24 e i giornalisti coinvolti sono il doppio.
Perché è importante parlare di questo fenomeno, tanto da meritare un rapporto annuale e l’attenzione dei media?
Perché implica un intralcio al diritto di cronaca sistematico che determina un esteso oscuramento dell’informazione, con la scomparsa di notizie di grande rilievo sociale. Le minacce compromettono la completezza dell’informazione, indeboliscono il diritto dei cittadini di essere informati e, in definitiva, riducono gli spazi della democrazia. Numerosi osservatori stranieri da tempo tengono d’occhio il caso italiano. Invece nel nostro paese il fenomeno è del tutto trascurato. Il mondo politico non se ne occupa, le istituzioni dei giornalisti lo sottovalutano e la società civile lo ignora. Il problema è avvolto in una nube di indifferenza che non ha giustificazione alcuna in un paese democratico come il nostro, che vanta di essere la culla del diritto. Non si dovrebbero tacere queste cose. Non si dovrebbero lasciare soli i singoli cronisti di fronte a un problema così grande. Non è degno di una società civile lasciarli a fronteggiare in solitudine i rischi e l’isolamento. Anche perché la disattenzione pubblica incoraggia comportamenti negativi.
Andrea Gerli