La stima sul numero di rom presenti in Italia è di 140mila persone, di cui il 60% è costituito da italiani e il 90% è stanziale. Tanti sono arrivati in Italia già nel 1400. Più della metà è residente e ha la cittadinanza del nostro paese, tanti vivono in appartamento e svolgono qualsiasi tipo di lavoro. Non è vero quindi che i rom sono per definizione nomadi e stranieri. Ma la stampa italiana continua a ignorare questa verità sostanziale dei fatti, al rispetto della quale richiamano l’articolo 2 della legge istitutiva dell’Ordine dei giornalisti e la Carta di Roma del 2008, un protocollo deontologico riferito alle notizie sui migranti. Il popolo romanì ha chiesto di non utilizzare il termine zingari perché ha assunto nel tempo una connotazione dispregiativa, eppure dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi alle principali testate nazionali è ormai comune parlare di zingaropoli.
Per questo nasce un vademecum per i giornalisti che trattano notizie sui rom, realizzato dall’Associazione Stampa Romana, con l’Associazione giornalisti Scuola di Perugia, la Comunità di Sant’Egidio e l’Assessorato lavoro e formazione della Regione Lazio. «Che un cittadino qualunque si esprima in questo modo non sorprende, ma che degli stessi preconcetti siano portatori i professionisti dell’informazione è inaccettabile», scrive il segretario dell’associazione Stampa Roma Paolo Butturini nel primo intervento del vademecum. Il volumetto si intitola: «Ho visto anche degli zingari felici. Di chi parliamo quando parliamo di rom», è a cura di Titty Santoriello ed è intervallato da disegni fatti dai bimbi rom delle scuole della pace della Comunità di Sant’Egidio.
Salta però subito agli occhi, scorrendo l’indice, che un solo paragrafo è redatto da un autore rom. «Questo è un tipico esempio di esclusione cognitiva della popolazione romanì – scrive subito Nazareno Guarnieri, presidente della Federazione Romanì – se oggi la condizione della nostra popolazione è peggiorata rispetto al passato, malgrado le iniziative attivate, la responsabilità è da attribuire al mancato coinvolgimento dei diretti interessati ed in particolare delle professionalità rom». Il contributo di Guarnieri spiega le distinzioni nel variegato mondo romanì. Ci sono cinque grandi comunità romanès, Rom, Sinti, Kale, Manouches e Romanichals. Insieme formano il popolo Rom, chiamato anche ‘romanì, romanò, romanipè’, con un’unica lingua che ha al suo interno 18 dialetti. Esiste la bandiera rom, verde e azzurra con una ruota a 16 raggi, e un inno (gelem gelem).
«Rendere normale ciò che è percepito come eccezionale» è il titolo del paragrafo scritto da don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco, editore di Redattore Sociale. «Suscitano allerta e mai simpatia – dice don Vinicio – vanno raccontati i fatti della realtà semplicemente, senza scelte pregiudiziali negative, ma nemmeno positive». Di «razzismo democratico» verso i rom parla Luca Bravi, docente all’Università di Firenze, intervistato per il vademecum. Il professor Bravi spiega l’origine dello stereotipo del nomadismo, che affonda le radici nel «Porrajmos» (il grande divoramento) l’olocausto negato dei rom, che fece circa 500mila vittime tra campi di concentramento ed esecuzioni sommarie. «Durante il periodo nazista – spiega – rom e sinti negli Stati europei praticavano una resistenza di basso profilo che significava trovare le modalità di permanenza per restare dove si erano stanziati. Si spostavano tra i confini. In quegli anni si diffusero teorie della razza secondo le quali il nomadismo era una colpa che stava nel loro sangue. Non era così: si spostavano per ragioni lavorative, molti ad esempio erano giostrai”. Il vademecum si conclude con le parole del papa Benedetto XVI. Lo scorso 11 giugno il Pontefice ha ricevuto i rappresentanti dei Rom da tutta Europa in Vaticano e li ha accolti dicendo: «siete un’amata porzione del popolo di Dio pellegrinante». La Chiesa cattolica ricorda anche un beato martire rom, Zefirino Giménez Malla, ucciso con il rosario in mano durante la guerra civile spagnola. Una sua raffigurazione si trova nel santuario dei santi Cosma e Damiano a Riace (Rc) ed è meta di un pellegrinaggio rom ogni anno a fine settembre.