Festival di Perugia, cronaca nera tra dovere di informazione e morbosità

«Se i media non avessero tenuto alta l’attenzione sullo stupro della Caffarella, forse due innocenti sarebbero ancora in carcere». Fiorenza Sarzanini, cronista del “Corriere della Sera”, cita il caso dello stupro di Roma per spiegare la tendenza dei giornali a occuparsi con tanta assiduità degli episodi di cronaca nera. Il tema è stato al centro del dibattito organizzato dall’Associazione Giornalisti Scuola di Perugia nell’ambito della prima giornata della terza edizione del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia.

All’incontro, moderato da Paolo Poggio (Giornale Radio Rai), hanno preso parte anche Caterina Malavenda, avvocato esperto di diritto dell’informazione, Massimo Martinelli de “Il Messaggero”, Massimo Picozzi, psichiatra e criminologo, e Sabina Castelfranco della CBS. «Dietro l’attenzione dei media per i fatti di sangue – ha detto Sarzanini – non c’è morbosità ma solo il dovere di rendere un servizio al pubblico e alla verità. E’ vero che eccitiamo l’interesse dei lettori, ma lo facciamo raccontando fatti veri». Ma a volte la verità viene fuori solo in un secondo momento, e intanto un innocente è già finito in prima pagina con accuse infamanti. Proprio come nel caso della Caffarella.
Per questo, per Martinelli «il giornalista deve verificare anche le informazioni ricevute da fonti istituzionali». «La gogna mediatica esiste – prosegue Martinelli – ma viene alimentata a monte dalle procure, che spesso divulgano elementi privi di rilevanza nelle indagini». Come accade con la pubblicazione delle intercettazioni riguardanti la vita privata degli indagati.
Caterina Malavenda cita l’inchiesta sui “furbetti del quartierino”, nell’ambito della quale furono resi noti gli sms di Anna Falchi a suo marito, Stefano Ricucci: «In quel caso i messaggi non avevano nulla a che fare con un’indagine su reati tributari». Ma perché l’interesse sulla cronaca nera rimane sempre alto?
Per Picozzi «da una parte sembrano essere aumentati gli omicidi per futili motivi, come nel caso di Erba, e questo alimenta la curiosità. Dall’altra, le persone sono attratte da queste vicende perché pensano che a loro non possano capitare». Con Sabina Castelfranco si parla, invece, di media stranieri. «Negli Usa alcune informazioni processuali non possono essere divulgate, ma l’interesse del pubblico è sempre alto. Al punto che, in alcuni casi, i verdetti delle giurie popolari hanno finito per essere influenzati dagli stessi media».