C’era una volta un genere televisivo che riempiva palinsesti quasi a costo zero e faceva registrare ascolti alti in qualsiasi fascia oraria e giorno di messa in onda. Quei programmi hanno scritto la storia televisiva (e non solo) degli ultimi dieci, quindici anni e la stampa era piena di pagine dedicate alla cronaca dei vari Annozero, Ballarò, ecc.
Retroscena, litigi, divisioni, e in qualche caso, notizie: questi gli ingredienti del talk show all’italiana. Un successo innegabile, sicuramente alimentato dalla particolare congiuntura politico – economica che l’Italia ha attraversato negli ultimi anni.
Poi, però, il giocattolo si è rotto. Una nuova fase politica, favorita dal declino di leader politici che hanno dominato la scena negli anni novanta e duemila, un abuso del genere, proposto a tutte le ore del giorno praticamente sempre nella medesima forma, e un generale calo dell’audience televisiva hanno determinato probabilmente una disaffezione del telespettatore nei confronti del talk show. Ascolti a picco, contenuti sempre più autoreferenziali, incapacità di rinnovare il genere: una crisi di cui si è discusso durante l’incontro, dal titolo “Il talk show è davvero finito?”, organizzato dall’Associazione Giornalisti Scuola di Perugia. Sono intervenuti Francesca Barra e Pierluigi Pardo di Mediaset, Mia Ceran, prossima conduttrice dell’edizione estiva di Unomattina, il giornalista di Rainews24 Mario De Pizzo, e il direttore di Raitre, Andrea Vianello.
“Bisogna ripensare il genere – ha esordito proprio l’ex conduttore di Agorà – l’abbiamo spremuto come un limone dopo un ventennio di successi. Però non potremmo fare a meno dei talk, ne risentirebbe anche la democrazia”.
Non è dello stesso avviso Mia Ceran, che la scorsa estate ha condotto per qualche mese sul terzo canale nazionale il talk show Millennium: “L’apice è stata certamente la puntata di Servizio Pubblico con il siparietto tra Berlusconi e Travaglio che fece registrare il 33% di share. Da quel momento, però, è cominciata anche la crisi, legata al declino di una figura impareggiabile dal punto di vista mediatico come il leader di Forza Italia. Oggi siamo al funerale del talk: il pubblico non vuole vedere questo”.
Per Pierluigi Pardo, giornalista di SportMediaset, il problema è l’autoreferenzialità: “Gli unici in grado ancora di alzare gli ascolti dei talk sono Renzi, Salvini e Landini – ha spiegato il conduttore di TikiTaka – perché sono personaggi di rottura, divisivi. Spesso nei talk ci sono politici che parlano di cose lontane dagli interessi delle persone, la vita è altrove”.
Un affaticamento evidente e confermato anche dal fatto che molti dei programmi di approfondimento stanno virando sulla cronaca nera, che sembra in questo momento intercettare maggiormente i gusti del pubblico.
“Manca il coraggio di affrontare temi delicati perché si ha paura degli ascolti – ha commentato Francesca Barra di Matrix – ma è un problema di temi o di linguaggi? La crisi del talk politico coincide anche con la decadenza del linguaggio della politica, per questo molti programmi ora si occupano prevalentemente di altro”.
Ma la questione è se la tv sarà capace di rinnovare il genere, magari partendo dall’esempio di un talk atipico come Gazebo, il cui conduttore Diego Bianchi è comparso a sorpresa sul palco del Teatro della Sapienza.
“ L’interazione con il web è una strada – ha dichiarato il direttore Vianello – ma bisogna anche saperla fare. Zoro e la sua squadra lo sanno fare, ma non è facile. Il racconto della politica ci deve essere e dobbiamo trovare nuove vie per coinvolgere il pubblico televisivo”.
Il talk show magari non sarà ancora finito, ma per interrompere l’agonia degli ultimi anni occorre una radicale trasformazione del genere.
Simone Carusone