La guerra in Ucraina è una guerra che parla russo. Russi che sparano contro altri russi, che combattono contro gente che parla la loro stessa lingua. E a Mosca l’immagine del conflitto è unilaterale. Le istantanee del conflitto di Crimea restituite dalle testate russe sono immagini in bianco e nero, senza chiaroscuri. Il popolo sta dalla parte dei ribelli, i volontari del Donbass sono degli eroi che combattono per la loro indipendenza. All’hotel Brufani invece, durante il panel “La guerra in Ucraina vista dai media indipendenti russi”, organizzato dall’Associazione Giornalisti Scuola di Perugia (AGSP) e moderato da Marcello Greco, si è voluto raccontare una storia diversa: quella di chi vuole scrivere la verità, contro ogni propaganda.
«Non sono molti i giornalisti russi nel Donbass, anzi, potremmo contarci sulle dita di una mano», racconta Pavel Kanygin, giornalista di Novaya Gazeta, la testata di Anna Politkovskaya. «Noi stiamo da entrambe le parti del fronte, raccontiamo quello che vediamo». Sono tanti i giornalisti arrestati sul campo di battaglia. Alcuni colleghi sono morti sotto le mine.
«I militari non potrebbero fermare i giornalisti, ma succede molto spesso». Timur Olevsky lavora per la televisione indipendente TV Rain, all’apice del conflitto è stato arrestato dai militari del battaglione Azov – dell’esercito ufficiale ucraino – e tenuto prigioniero per mesi. «Dobbiamo stare molto attenti alle parole che usiamo, in questo conflitto la lingua gioca un ruolo fondamentale». Il termine “ribelle” ha una sfumatura positiva, eroica. “Separatista” è un termine più neutrale, che non parteggia né per una parte né per l’altra.
Marina Akhmedova di Russky Reporter non è d’accordo, si accende il dibattito. Le parole diventano quasi terreno di scontro, anche a Perugia. Su una cosa però tutti sono d’accordo: quella della Crimea è una vera e propria crisi umanitaria: i prezzi salgono, il cibo scarseggia, la gente non ha di che mangiare. I civili subiscono gli effetti disastrosi di questa guerra civile.
«La situazione è paradossale – continua Mumin Shakirov di Radio Svoboda – il Cremlino distribuisce a tutti gli abitanti del Donbass il passaporto russo. Chi non lo accetta diventa straniero in casa propria». Devono chiedere il permesso di soggiorno per poter andare a lavorare e se esprimono le loro opinioni rischiano di essere licenziati.
«Durante l’euromaidan ero entusiasta – racconta Kanygin – ma ora l’elite dell’ucraina ha cambiato strada, non vuole più il cambiamento. Da giornalista non riesco a trovare più storie positive». Molti, dice, pensano che la democrazia sia solo vita confortevole e soldi facili. «Ora il prezzo da pagare è alto. E lo spazio democratico si sta chiudendo».
Giulia Paltrinieri