Dopo 48 anni la Camera dei deputati ha approvato in prima lettura una mini riforma della legge sull’Ordine dei giornalisti. Le modifiche principali riguardano le modalità dell’accesso alla professione, con la necessità della laurea triennale, e lo snellimento del Consiglio Nazionale con la riduzione del numero dei consiglieri. Novità anche per gli aspiranti pubblicisti, che dovranno sostenere un esame di cultura generale che attesti, tra l’altro, la conoscenza dei principi di deontologia professionale. Restano invece intatti i principi generali stabiliti dalla legge numero 69 del 1963, riguardanti il diritto all’informazione e i doveri del giornalista. Per quanto riguarda il Consiglio Nazionale, il tetto massimo si è abbassato da 150 a 90 membri, con un rapporto di due a uno tra professionisti e pubblicisti.
In un comunicato dell’Ordine dei giornalisti il presidente Enzo Iacopino ha sottolineato che è “doveroso ringraziare per l’impegno profuso la commissione Cultura, la sua presidente Valentina Aprea, il relatore Giancarlo Mazzuca e, tramite il primo firmatario della proposta, Pino Pisicchio, tutti i parlamentari”. L’Odg ha giudicato “sicuramente positivi” alcuni aspetti come l’introduzione di un numero massimo dei membri del Consiglio, la previsione che i giornalisti professionisti debbano avere almeno una laurea triennale e che gli aspiranti pubblicisti debbano superare un esame di cultura generale che attesti, tra l’altro, la conoscenza dei principi di deontologia professionale”.
Norme che “contribuiranno alla crescita di qualità dell’informazione e, al tempo stesso, a una maggiore consapevolezza dei doveri nei confronti dei cittadini”. Però – aggiunge – “restano alcune amarezze e qualche disagio”. Tra le prime, il fatto che siano state cancellate dalla proposta la commissione deontologica nazionale e il giurì per la correttezza dell’informazione. “L’una e l’altro avrebbero consentito di dare risposte in tempi più rapidi alle doglianze dei cittadini su comportamenti dei giornalisti ritenuti scorretti. Il disagio è legato all’introduzione di un rapporto tra professionisti e pubblicisti che penalizza fortemente i secondi. Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti nel progetto di riforma, con una decisione unanime, e recentemente, il 12 aprile 2011, con un documento (approvato con 3 voti contrari e 4 astenuti su 113 presenti) aveva invitato la Camera a ‘lasciare al potere regolamentare dell’Ordine la ripartizione proporzionale in base alla realtà in evoluzione della professione, prevedendo verifiche durante e al termine del periodo di transizione'”.
L’auspicio per Iacopino è che ora “il Senato non solo recuperi la commissione deontologica e il giurì per la correttezza dell’informazione, ma consenta all’Ordine – certamente più a conoscenza di come avviene il lavoro giornalistico, indipendentemente dall’iscrizione agli elenchi dei professionisti e dei pubblicisti – di riflettere al suo interno per stabilire criteri di rappresentanza rispettosi della realtà”.
Anche la Fnsi per bocca del suo presidente Franco Siddi ha sottolineato l’importanza di questo “primo importante passo per l’adeguamento e ammodernamento dell’ordinamento professionale”. Inoltre per la Fnsi è un segnale importante anche il voto unanime (un solo astenuto) che la commissione Cultura della Camera ha espresso in sede legislativa, offrendo un’indicazione precisa anche a quanti in questi mesi, a livello politico e di Governo, hanno avuto mere tentazioni abrogazioniste”. Tuttavia Siddi ci tiene a ribadire che in questa riforma “avremmo voluto di più, sia in materia di accesso, sia soprattutto per l’istituzione del Giuri’ per la lealtà dell’informazione”.
Per Giancarlo Mazzuca, deputato del Pdl e relatore del provvedimento Non si poteva andare avanti con una legge vecchia di 50 anni, varata nel 1963. Questa riforma serve a snellire e modernizzare l’ordine a dargli più senso ed efficienza, più regole nell’accesso alla professione”. Mazzuca non nasconde che “questa è una situazione provvisoria” e va al nodo della questione: “Mi sarebbe piaciuto portare avanti nella riforma anche la parte sul Giurì, ma c’è stato lo stop del governo, spero di riprenderla in futuro”.
Più critico in questo senso è il primo firmatario del provvedimento, Pino Pisicchio, che pur sostenendo l’importanza della riforma sottolinea come questa non sia “l’optimum”. Secondo il deputato Api, “il governo ha dato una risposta insufficiente sulla questione del Giurì, che avrebbe permesso di affidare certi percorsi sul rapporto tra lettore e giustizia a una diversa giurisdizione. Il governo ha ritenuto che questo comportasse degli oneri, anche se noi non li abbiamo visti, e quindi ne ha chiesto lo scorporo”.